Ora che siamo tutti dietro un PC, che i consumi sono stati ridotti all’essenziale, che i mozziconi di sigaretta li buttiamo nel cestino e non per terra, potremmo sfruttare quest’occasione per diminuire l’inquinamento.
Se all’inizio del millennio pensavamo che la tecnologia potesse essere una delle soluzioni a questo grande problema, ora sappiamo che non è così.
Ormai siamo abituati a pensare che internet sia un tassello del nostro ecosistema, ma ci siamo chiesti quanto costi all’ambiente caricare un telefono o inviare un’email? E se volessimo analizzare il problema alla radice, che cosa vuol dire, in termini di risorse naturali, costruire e smaltire tutti questi devices?
Tra le problematiche si possono prendere ad esempio i fenomeni dello “storaging” e dell’obsolescenza programmata.
Lo “storaging”
Nel 2007 tutto il settore ICT (Information & Communication Technology) causava quasi l’1% delle emissioni di gas serra globali. Le previsioni odierne indicano che tra vent’anni tale valore potrebbe raggiungere il 14-15%.
Per capire l’origine di fenomeno, dobbiamo scoprire ciò che si nasconde sotto il velo di Maya: i data center che assicurano la conservazione, senza limiti di tempo, delle innumerevoli transazioni, che ogni giorno hanno luogo su internet, e dati, che esse generano.
Ad oggi questi grandi mostri producono il 45% delle emissioni ascrivibili al settore ICT. Il problema non risiede solo nei materiali di fabbricazione, ma soprattutto nel fatto che essi, per garantire tutte le attività che si svolgono su internet, siano operativi giorno e notte. Infatti, per permettere le loro prestazioni, vengono affiancati da altre grandi macchine di raffreddamento che, necessitando anch’esse di tanta energia, aumentano in modo esponenziale le emissioni prodotte.
Uno dei maggiori problemi dello “storaging” riguarda “l’inquinamento indoor”, ossia lo stoccaggio di file e dati. Per fare un esempio, il fatto che ogni giorno possiamo andare a rivedere un’email ricevuta ieri o un anno fa, ha un costo pari a 9g di CO2. Forse, se moltiplicassimo questo valore per il numero di email conservate per tutti coloro che hanno un account, ci accorgeremmo delle reali dimensioni del problema.
Per aggiungere un elemento di concretezza alle enormi dimensioni di “rifiuti virtuali” che si ammassano nei nostri “cloud”, è sufficiente considerare che, solo in Francia, i data center consumano più del 10% dell’elettricità del paese e che ogni secondo vengono prodotti quasi 45kg di rifiuti elettrici.
L’obsolescenza programmata
Il secondo grande problema della tecnologia, in tutte le sue forme (cellulari, computer, tablet, lavatrici, etc.), è quello di essere programmata per rimanere efficiente e funzionante per periodi di molto inferiori a quelli della loro effettiva capacità.
Uno studio condotto dall’Unione Europea ha valutato che se estendessimo anche di un solo anno la durata media di uno smartphone (attualmente è di 2-3 anni) risparmieremmo 2,1 Mt di CO2. Se proiettiamo questi valori a dieci anni di distanza, otterremo un risultato che equivale a togliere dalle strade un milione di automobili.
Per questo motivo è nato il movimento “Right To Repare” che mira a sollecitare e facilitare la riparazione di dispositivi. Se questi durassero anche il 2% in più di quanto previsto dalle case produttrici, potremmo considerare intrapreso il cammino verso un futuro sia tecnologicamente avanzato sia eco-sostenibile.
La risposta legislativa a questo problema da parte degli stati e delle organizzazioni internazionali è, per la maggior parte, assai debole.
Negli Stati Uniti ancora non sono state approvate leggi che controllano questo fenomeno, nonostante alcune delle più importanti industrie ICT, come Apple e Samsung, siano state citate in giudizio più volte per aver programmato un’obsolescenza dei propri dispositivi assai inferiore alla durata potenziale.
Al contrario, in Italia vi è stata un’iniziativa in questa direzione promossa dal Codacons e ripresa da alcuni senatori che, nell’estate del 2018, hanno presentato un disegno di legge (AS 615) di cui leggasi di seguito un breve passaggio:
“È fatto divieto al produttore di mettere in atto tecniche che possano portare all’obsolescenza programmata dei beni di consumo.
Il produttore è tenuto, per i beni di consumo elettrici ed elettronici che per il loro corretto funzionamento prevedono una componente software, per tutto il periodo della commercializzazione e per un periodo ulteriore pari alla durata della garanzia legale, ad assicurare la disponibilità di aggiornamenti del software e delle applicazioni ad esso afferenti, nonché la necessaria assistenza tecnica.”
AS 615/2018
Il ddl mira quindi a protegge i consumatori e a garantire la possibilità di utilizzare pienamente i beni acquistati. È difficile controllare questo fenomeno, ma stiamo facendo dei passi in avanti.
Una goccia nel mare: abbiamo davvero bisogno di conservare decine di migliaia di foto su ciascuno dei nostri devices?
A cura di Marianna Stajano